Gaspare Bassani, Tavolo da gioco, 1789. Legno di noce e abete intarsiato in bois de violette, bois de rose, bosso, acero, acero tinto verde e altri legni non correttamente identificabili.
Collezione privata.
Nel 1788 Giuseppe Maggiolini ricevette “il premio di una medaglia d’oro dal valore di cinquanta zecchini, per essersi egli reso utile e benemerito, avendo fatto risorgere quest’arte (della tarsia Nda), che in Italia era quasi estinta e abbandonata, e per averle aggiunto non poco di perfezione si nel gusto, che nella solidità de’ suoi lavori, a cui non giunsero gli antichi stessi”[1].
Il riconoscimento gli fu assegnato dalla Società Patriottica di Milano, ente fondato nel 1766 per volere di Maria Teresa con lo scopo di “scuotere la nazione che pare lenta, e risvegliare un bene inteso spirito di patriottismo per l’utile e pel grande”[2].
Fra gli aderenti a questa società[3] si annoverano, per citare solo i nomi degli intellettuali più illustri, personaggi del calibro di Pietro Verri, Cesare Beccaria, Giuseppe Parini, Alessandro Volta, l’astronomo Oriani; tra la schiera della nobiltà vale la pena ricordare il duca Serbelloni e il marchese Pompeo Litta, a più riprese committenti di Giuseppe Maggiolini. Il capo d’opera presentato con grande acume dall’intarsiatore delle LL.AA.RR. non fu un mobile ma un quadro, di non grandi dimensioni, intarsiato su disegno di Andrea Appiani e ancora oggi conservato in collezione privata.
Alcuni anni dopo, nel 1793, la Società Patriottica premiò, per certi “bellissimi saggi della loro abilità”[4], altri due intarsiatori attivi sul territorio del ducato: Gaspare Bassani ed Epifanio Moreschi. In quella stessa occasione furono ritenuti meritevoli di una menzione anche Giuseppe Cassina e Carlo Maltusio. Di queste figure di intarsiatori attivi a Milano o in Lombardia sulla scia del successo maggioliniano, oggi non si conosce nulla.
Di Gaspare Bassani Alvar Gonzàlez-Palacios rese noto a suo tempo un tavolo, firmato e datato 1789, già in collezione Meli Lupi di Soragna[5], di Epifanio Moreschi non si conosce, a tutt’oggi, nessuna opera. Nessuna opera si conosce del Cassina e del Maltusio. Interessante notare come quest’ultimo fu premiato per aver messo a punto una tecnica produttiva atta a velocizzare la realizzazione di “riquadrature e incorniciamenti”[6].
“Il magnifico mobile firmato da Gaspare Bassani nella Rocca di Soragna”[7] illustrato da Gonzàlez-Palacios, è a tutt’oggi l’unica opera conosciuta di questo misterioso artigiano. Restaurato nel corso del 2002, ci sembra valga la pena di riportare alcune osservazioni compiute a margine del restauro, come unico possibile contributo, al momento, alla ricostruzione dell’opera di questo sconosciuto artigiano. Stupisce come di un intarsiatore così capace si conservi una sola opera, e non un gruppo di mobili almeno stilisticamente concatenabili l’uno all’altro, come nel caso di Giovanni Battista Maroni. A questo proposito è impossibile non constatare immediatamente come in quest’unica opera oggi conosciuta, il Bassani dimostri un gusto ornamentale e un’abilità tecnica di gran lunga superiori a quelle espresse nei numerosi mobili da Giovanni Battista Maroni e, in generale, degli altri intarsiatori del periodo. La sua abilità gli permette di dispiegare un fine intarsio sull’intera superficie, raggrumandolo virtuosisticamente sulle curve delle quattro gambe tornite. La qualità di taglio delle tessere, dell’ombreggiatura e della profilatura, non appare in nulla inferiore a quella che caratterizza l’intarsio maggioliniano. Addirittura Bassani, pur non potendo contare su alcune di quelle straordinarie essenze esotiche che dovettero essere esclusiva dell’officina di Parabiago, riesce a raggiungere in quest’opera una raffinatezza e un equilibrio cromatico per nulla inferiore a quello che connota le migliori opere eseguite dai Maggiolini di Parabiago.
Il piano è caratterizzato da un’ornamentazione ricchissima, composta da una doppia incorniciatura perimetrale che racchiude una grande riserva quadrata ornata da otto riserve disposte attorno ad un ottagono centrale.
Il minuzioso intarsio fa la sua comparsa già lungo gli spigoli modanati, con un motivo stilizzato a piccole foglie di bosso (rese in legno di bosso), stese su di un fondo del medesimo legno ombreggiato nella sabbia rovente. L’incorniciatura più esterna è costituita da quattro lunghe riserve di legno d’acero, racchiuse da una bella bordura a piccole foglie serrata tra una doppia filettatura, caratterizzata da un lungo racema d’acanto, ben disegnato e finemente intarsiato, in legno di bosso e d’acero tinto verde.
Nei centri si trovano quattro piccole riserve ellittiche, a mo’ di cammeo, in cui sono intarsiate figure femminili che parrebbero ispirate ad alcuni disegni di Girolamo Mantelli ancora oggi conservati nel Fondo dei disegni dell’officina Maggiolini[8]. Nei quattro angoli esterni vi sono piccole riserve, incorniciate dalla medesima bordura delle precedenti, in cui sono inscritti piccoli rosoni stesi su di un fondo dello stesso palissandro che fa da sfondo ai trionfi nelle cartelle pentagonali.
L’incorniciatura più interna, che marca il perimetro della porzione di piano ribaltabile, originariamente ricoperta al verso di “marocchino”, è costituita da un fregio continuo intarsiato in legno d’acero su un fondo di noce d’india. Fa da sfondo a questa grande riserva quadrata una stesura di palissandro scurissimo, su cui spiccano le riserve disposte tutte attorno all’ottagono centrale. In questo è inscritta una cartella circolare, bordata da una fine unghiatura, in cui trova spazio una veduta: al di sopra di un alto basamento poggiante su di una pavimentazione a scacchi è una statua allegorica della Liberalità; sullo sfondo un porticato dorico oltre il quale si intravede un paesaggio e il cielo, con nuvole rese da un fitto tratteggio. Sul basamento della statua, incisa a bulino, è l’iscrizione:
“ Milano / 1789 / Gaspare / Bassani / Fecit”.
Non sappiamo se quest’intarsio fu derivato da un’incisione: se così fosse a chi scrive non è riuscito di trovarne il modello. Si può tuttavia supporre che, nella sua convenzionalità, possa essere stato messo a punto direttamente dallo stesso Bassani.
Il pavimento a scacchi che caratterizza la scena è del resto un espediente prospettico tipico da intarsiatore, di cui si potrebbero citare innumerevoli precedenti illustri. Anche il tema allegorico della Liberalità, svolto dalla statua sul basamento, è cosa del tutto convenzionale nella Lombardia di quegli anni.
Nel Fondo dei disegni dell’officina Maggiolini si conserva un foglio di Carlo Cantaluppi[9] in cui la figura della “Liberalità secondo Cesare Ripa” risulta in tutto simile alla statua posta dal Bassani al centro della scena.
Nelle quattro riserve pentagonali ai quattro angoli, incorniciate da una bordura a piccoli fiori racchiusa tra due filetti di legno chiaro, sono inseriti, su di un fondo di palissandro, trionfi cinti da serti di foglie d’ulivo. Nelle quattro cartelle più piccole, quadrate e incorniciate dalla medesima bordura, trovano posto tanto piccoli quanto ricchi rosoni. La ricchezza del piano trova puntuale riscontro in quella delle fasce, caratterizzate da quattro vigorosi dadi angolari e da quattro riserve fortemente ribassate che conferiscono al tavolo un vigore plastico non comune. Nei possenti dadi angolari, in piccole riserve anch’esse fortemente ribassate e incorniciate da una bella bordura modanata e intarsiata, sono inseriti camei con profili di teste maschili d’ispirazione classica finemente intarsiate, ombreggiate e profilate su di un fondo d’acero tinto di un verde assai acceso. Le fasce serrate tra questi massicci dadi angolari, caratterizzate da lunghe riserve ribassate e incorniciate dalla medesima modanatura intarsiata dei dadi, presentano un fregio a catena assai articolato e finemente intarsiato su di un fondo di palissandro. Si tratta di un motivo complesso che trova una non casuale corrispondenza con quello intarsiato da Maggiolini sulle lesene dalla commode, oggi presso le Civiche Raccolte milanesi. Ma di quel motivo Bassani restituisce, in orizzontale, una versione arricchita con l’inserimento, nelle otto maglie più grandi della catena, di quattro putti alternati a quattro mazzi di fiori, raggiungendo, con un’abilità tecnica ineccepibile, il risultato di un’inusitata ricchezza decorativa. Questi putti, a ben osservarli, si scopriranno essere amorini sulla riserva della fascia recante il cassetto, allegorie delle arti e delle scienze sulle altre due, e allegorie delle quattro stagioni sull’ultima. Anche i sedici mazzi di fiori alternati ai putti sono tutti diversi gli uni dagli altri. Un altro elemento dell’ornato minuto fa tornare alla mente quanto eseguito da Giuseppe Maggiolini e dai suoi aiuti in quella commode: le piccole cornici intarsiate e modanate delle riserve e dei dadi sembra, a chi scrive, abbiano qualche non casuale punto di contatto con quelle poste da Maggiolini ad incorniciare i pannelli di facciata e fianchi di quel mobile. Le quattro gambe tornite, fissate ai dadi angolari delle fasce per mezzo di una grossa vite in legno, dunque rimovibili in modo da rendere il tavolo di non piccole dimensioni facilmente trasportabile, sono completamente rivestite da un intarsio tecnicamente virtuosistico, che ben restituisce un’ornamentazione alla “Nuova Maniera” di bel disegno, ricchissima e, nel complesso, affatto equilibrata. Nella fattispecie l’intarsio delle unghiature e dei cordoni modanati presenta la stessa identica tecnica esecutiva che in Lombardia troviamo adottata, in questi casi, solo dall’officina di Giuseppe Maggiolini.
Da segnalare, alla stregua di pura curiosità, come le gambe rimovibili, dettaglio non riscontrabile in nessun mobile milanese neoclassico oggi conosciuto, non sono cosa rara nei tavoli toscani intarsiati di questo periodo, eseguiti probabilmente per il mercato dei souvenirs per gran-tourists.
La qualità dell’intarsio di questo tavolo, unita alla raffinatezza del gusto ornamentale, ne fanno, come le immagini ben dimostrano, l’opera certo più interessante prodotta a Milano al di fuori dell’officina di Giuseppe Maggiolini.
Qualcosa di paragonabile si riscontra solo in un secondo tavolo da gioco, anch’esso reso noto da Alvar Gonzàlez-Palacios, firmato Domenico Vanotti, oggi nelle collezioni del Museo Nazionale di Capodimonte[10]. Si tratta di mobili che testimoniano l’esistenza di una produzione milanese di altissimo livello, ben lontana dalla più corriva del monogrammi sta G.B.M.
Non stupisce dunque che il Bassani fosse premiato nel 1793 dalla Società Patriottica che nella sua opera, come il nostro tavolo lascia immaginare, dovette apprezzare l’equilibrio del gusto ornamentale alla “Nuova Maniera” espresso da una tecnica perfettamente affinata, per nulla inferiore a quella maggioliniana.
Prolifico Gaspare Bassani non dovette esserlo se a tutt’oggi di lui si conserva solo questo tavolo.
La seconda e ultima menzione del Bassani la si ritrova nella Gazzetta Enciclopedica di Milano del 19 novembre 1789[11]. Il suo nome non compare invece nella guida commerciale Il servitore di piazza, che nel 1791 ricorda gli intarsiatori Lodovico Beller, Carlo De Nava, Giovanni Farina e Giovanni Ripamonti[12]. Impossibile stabilire se mai vi sia stato un rapporto diretto tra Gaspare Bassani e l’officina di Giuseppe Maggiolini. Nel caso del monogrammista G.B.M. una simile ipotesi, si è visto, parrebbe suffragata da alcune scelte decorative presenti sui suoi mobili chiaramente mutate da mobili e disegni maggioliniani. Un paio di elementi stilistici che abbiamo evidenziato sembrerebbero creare una qualche relazione tra il Bassani e la celeberrima commode maggiolinaina oggi presso le Civiche Raccolte milanesi. Anche il vigore plastico che connota questo tavolo trova unico diretto paragone, nei mobili eseguiti a Milano, solo in quel mobile. Ma non siamo forse solo nel campo delle suggestioni? Tuttavia, a chi scrive sembra che la tecnica raffinatissima esibita dal Bassani in questo tavolo non possa essere considerata indipendente da quella messa a punto tra le mura dell’officina di Parabiago.
[1] G. A. Mezzanzanica, Genio e lavoro, biografia e breve storia delle principali opere dei celebri intarsiatori Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, Milano 1878, p. 38 [2] Su questo argomento si veda B. Zanei, L’opera di rinnovamento nella Lombardia austriaca durante il governo del conte Carlo di Firmian, Trieste 1938, pp. 62 e sgg. [3] Ivi. [4] G. Morazzoni, Il mobile intarsiato di Giuseppe Maggiolini, Milano 1953, p. 28 [5] A. González-Palacios, Il tempio del gusto. Il tempio del gusto. La Toscana e l’Italia Settentrionale, 2 Voll., Milano 1984, I, p. 255 [6] G. Morazzoni, Op. Cit., 1953, p. 28 [7] A. González-Palacios, Op. Cit., 1984, I, p. 255 [8] G. Morazzoni, Op. Cit., 1953, Tav. LXXXII [9] Ibidem, Tav. LXXXV [10] A. González-Palacios, Op. Cit., 1984, I, p. 354 [11] G. Morazzoni, Op. Cit., 1953, p. 28 [12] Ivi.