Artigiani Milanesi, Commode con ribalta e alzata, 1760 ca. Legno di noce, abete e pioppo impiallacciato in noce e radica di noce, cornici in legno di pero ebanizzato.
Milano, già Sotheby’s *
E’ davvero un evento raro la scoperta di mobili milanesi in radica e cornicette nerotinte che si distaccano da una normalità d’invenzione e d’esecuzione che al tempo dovette essere tanto ampia quanto diffusa. Ed è un evento raro che lo storico s’interessi di simili mobili, anche quando la loro qualità sopravanza la media, poiché le scarse conoscenze che su questo capitolo della storia del mobile italiano si hanno, rendono ardua la sua trattazione. “Il lavoro di sistemazione cronologica che si deve compiere non può che essere approssimativo, quasi divinatorio”, ha scritto Alvar Gonzàlez-Palacios[1] a proposito di questo corpus di mobili reso noto in numerosi repertori. Si tratta di un capitolo ancora tutto da scrivere, ma che, c’è da scommettere, verrà sicuramente scritto basandosi sulle fonti documentarie che, ad una attenta quanto lenta e faticosa consultazione, stanno rivelando informazioni sorprendenti. Emerge con assoluta chiarezza che nella storia del mobile milanese vi fu una stagione di raccolti raffinati, in termini quantitativi non abbondante, ben prima dell’avvento in città di artigiani-artisti del calibro di Giuseppe Maggiolini, Agostino Gerli, Simone Cantoni, Giocondo Albertolli. E nemmeno era pensabile, come invece è avvenuto, che una stagione come quella del mobile neoclassico non avesse in città ben solide radici nella tradizione artigianale. Che la storia non improvvisi, ma che sia un unico, ininterrotto flusso, è acquisizione che data alcuni decenni nella storia dell’arte. Ma nella storia dell’arte con la a maiuscola; le arti minori, ossia le arti con la a minuscola, ancora subiscono il fascino di contrapposizioni schematiche, rotture semantiche che non appartengono al divenire della storia. Giuseppe Maggiolini, ad esempio, è intarsiatore neoclassico per definizione. Nulla di più falso: dai diciotto ai trent’anni licenziò opere, che solo di recente si sono riconosciute, capolavori del barocchetto e della rocaille internazionale. E furono queste le opere che, alla corti di Milano e Vienna, sancirono il suo successo. Il passaggio alla “Nuova Maniera” fu graduale: elementi rocaille andarono lentamente contaminandosi e mutando; le prime opere che facilmente oggi riconosciamo “alla Maggiolini” uscirono dallo stabilimento di Parabiago che Giuseppe aveva quasi quarant’anni (e vent’anni di lavoro alle spalle). Le fonti d’archivio, si diceva. Ancora nel 1788, nell’inventario del Regio Ducal Palazzo, nella “Stanza per la Dama di Guardia” – comunicante con la “Stanza prima d’udienza di S.A.R. l’arciduchessa” perfettamente decorata ed arredata alla “Nuova Maniera” – troviamo un “Burrò a tre cassettoni fatto ad urna, impelliciato con radica di noce, pomi d’ottone, serrature e chiavi”[2]. Non è però questa la sede per tediare il lettore con le fonti d’archivio che, ci si creda sulla parola, sono numerose e testimoniano di un fatto certo, confermato dalla opere databili con certezza ancora conservate e conosciute: dalla metà degli anni cinquanta del XVIII secolo a Milano si produssero arredi di straordinaria raffinatezza, spasmodicamente ben informati delle ultime mode, in fatto di gusto dell’abitare, delle corti europee, Parigi in testa. Nel 1751 Luigi Fratini firmò una ribalta con alzata, recentemente apparsa all’incanto proprio in queste sale[3], nel ’58 Giuseppe Maggiolini firma due tavoli da gioco barocchetto che sono le migliori cose milanesi di questo gusto che si conoscano, perfettamente aggiornate dei modelli di area tedesca[4]. Attorno alla metà degli anni sessanta i Fratelli De Valentinis firmano due ribalte con alzate, già rese note dalla critica[5]. A questi stessi anni risale la commode di Giuseppe Maggiolini, oggi presso le Civiche Raccolte d’Arte applicata del Comune di Milano, probabilmente uno dei più bei mobili italiani rocaille[6]. Nel 1772 Maggiolini era alle prese con l’esecuzione, su commissione dell’arciduca Ferdinando, di una superba scrivania dono alla madre Maria Teresa, oggi conservata al Bundessamlung Alter stilmoebel di Vienna[7].
È nel corso di questo ricco ventennio per la storia del mobile italiano che si colloca l’esecuzione del superbo mobile a doppio corpo che ora Sotheby’s presenta all’incanto. Mobile inedito che con la sua comparsa alla ribalta degli studi sembra voler surclassare, per qualità inventiva e raffinatezza esecutiva, quanto sino ad oggi conosciuto di questa produzione ispirata alla rocaille di area germanica. Le opere più significative, sino ad oggi erano i due mobili a doppio corpo firmati De Valentinis, resi noti da Clelia Alberici e Alvar Gonzàlez-Palacios. A questi due si aggiungono, sempre grazie al lavoro dei due storici già ricordati, alcuni mobili, principalmente in collezioni private, a formare un corpus di mobili di qualità piuttosto ristretto, a cui fa da corollario una nutrita schiera di arredi di scarso interesse storico artistico. Il mobile che Sotheby’s presenta s’impone nella sua straordinaria qualità, come la punta di diamante di questa produzione caratterizzata da fusti rocaille impiallacciati con ampi fogli di radiche bionde decorate da composite incorniciature in legno tinto nero. Le misure d’insieme fanno ovviamente pensare di essere in presenza di un mobile pensato per una grande sala d’apparato in cui ben potessero spiccare la raffinatezza delle proporzioni d’insieme e il complesso, articolato muoversi delle superfici che marcano il corpo della ribalta. Su di esse le incorniciature nerotinte disegnano riserve, senza riguardo alla partizione imposta al fusto dalla presenza di catene orizzontali, ad andamento verticale. Spicca sulla facciata della parte inferiore, ossia sul frantale dei quattro cassetti, la decorazione caratterizzata da tre ampie e composite cartelle, definite da cornicette ebanizzate; la centrale, più ricca a marcare la mossa del fusto, è definita da un doppio giro di cornicette. I fianchi, in modo del tutto fuori dal comune, sono caratterizzati da una armonica scomposizione in piani contrapposti in cui lesene e fondi si confondono, in una complessa articolazione plastica contrappuntata da incorniciature nerotinte a spiccato sviluppo verticale. In questa complessità organizzativa dei fianchi il raccordo alla facciata vera e propria è marcato da uno spigolo affilato, quasi una lama di coltello. La cornice che funge da margine inferiore, da basamento, è anch’essa tinta di nero, e incide su sei piedi a mensola che seguono le mosse articolate della facciata e dei fianchi. Il corpo della ribalta, che cela il consueto vano con cassetti e segreti, presenta anch’esso fianchi scomposti in piani e lesene perfettamente armonizzati con la partizione dell’ordine inferiore. L’ampia anta, primo elemento lineare che troviamo in quest’opera, reca un’unica grande cartella di bel disegno. La parte superiore del mobile, caratterizzata da due grandi porte in cui trovano posto, secondo l’usanza del tempo, due “luci”, presenta uno sviluppo lineare in facciata per muoversi ancora nei fianchi, serrati tra due lunghe lesene poggianti sulle corrispondenti dell’ordine inferiore. La cimasa svetta alta, liberando un’ampia campitura nella parte sommitale della facciata, ed è serrata da una coppia di volute laterali ascendenti con le quali condivide il disegno della cornice ebanizzata. Non possono passare inosservate le parti metalliche (cerniere dell’anta e delle porte dell’alzata, serrature) caratterizzate da placche in ottone finemente cesellate a motivi rocaille. Anche le maniglie dei cassetti, cosa più unica che rara nei mobili milanesi di questo genere, sono in bronzo cesellato e dorato, finemente ornate con motivi della migliore rocaille. Vi compare, al centro, il cedro, frutto presente nello stemma araldico dei Borromeo.
* Pubblicato in: catalogo vendita Sotheby’s Milano, 10-11 luglio 2007, lotto 328
[1] A. Gonzàlez-Palacios, Il tempio del gusto, il Granducato di Toscana e gli Stati settentrionali, Milano 1986, Tomo I, p. 263 [2] Archivio di Stato di Milano, Fondi Camerali Parte antica, Busta 204, Vol. I [3] Catalogo vendita Sotheby’s del 20 giugno 2006, lotto 322 [4] G. Beretti, Laboratorio, contributi alla storia del mobile neoclassico milanese, Milano 2005, pp. 12 e sgg. [5] C. Alberici, Il mobile lombardo, Milano 1969, p. 112; A. Gonzàlez-Palacios, Op.cit., 1986, Tomo I, p. 263 [6] G. Beretti, Op.cit., 2005, p. 20 [7] A. Gonzàlez-Palacios, Op.cit., 1986, Tomo I, p. 270 e sg.