“Lo specchio lavorato a foggia di fonte ove Narciso si sta vagheggiando”

“Il più bel mobile genovese esistente, uno dei capolavori della grande decorazione europea”[1]. Così Alvar Gonzáles-Palacios definisce il tavolo a console con specchiera eseguito da Filippo Parodi per il palazzo genovese dei fratelli Carlo ed Emanuele Durazzo, oggi conservato presso Villa Faraggiana ad Albissola Marina.
Di questa straordinaria opera barocca non si conservano carte o pagamenti. L’unica notizia la si deve al biografo ufficiale di Parodi, Carlo Giuseppe Ratti, che a poca distanza dalla morte dell’artista ricorda “un bellissimo specchio lavorato a foggia di fonte, ove Narciso si sta vagheggiando. Cosa che per l’invenzione, e la naturalezza merita l’alta stima, in cui è tenuta”[2].

La console, dal basamento asimmetrico, simula una sorgente, col piano d’appoggio ricoperto di specchio, cosa affatto inconsueta all’epoca, alla quale due cani sembrano abbeverarsi. Su di esso poggia, entro una grande cornice naturalistica, la specchiera con in cima, in un precario equilibrio, la figura di Narciso a tutto tondo. Come vuole la favola di Ovidio il giovane si riflette sullo specchio del tavolo, mentre lo spettatore si vede sul vetro verticale. “Nulla di più ingegnoso e, nel contempo, rappresentativo della mentalità barocca nel suo capzioso gioco di luci e di immagini, riflessi che confondono vita e arte, mito e realtà. L’antica fiaba sulla vanità serve di avvertimento all’ineluttabile decorrere delle cose umane, alla sua inarrestabile corsa verso la morte”[3].  Si tratta di una vera e propria macchina barocca d’impianto romano, per la quale Filippo Parodi si ispira a quello che fu il suo vero maestro: Gian Lorenzo Bernini.

Parodi, falegname per tradizione famigliare, figlio di un “bancalaro” genovese, intorno al 1660 fu accolto a Roma nella grande bottega di Bernini, dove vi rimase per circa sei anni. Qui ebbe la possibilità di affinare la pratica dell’intaglio ligneo, e apprendere le tecniche della scultura in marmo. E’ proprio nei primi anni ’60 che Bernini disegna alcuni capolavori della storia dell’arredo. A questo periodo risale il basamento ligneo in foggia di tronco per il San Lorenzo sulla graticola. Del 1663 i due tavoli, ancora una volta sostegni per sculture, eseguiti per palazzo Chigi ad Ariccia. Non più tronchi d’albero ma grovigli di rami, cartocci di foglie di quercia e d’acanto. E’ a questo naturalismo che si ispira Parodi, non più ebanista ma vero scultore. Con rocce, rami contorti, foglie e frutti, tutti minuziosamente descritti, disegna il suo capolavoro d’intaglio, ricordo dell’insegnamento di Gian Lorenzo Bernini.


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