Artigiani fiorentini su disegno di Giovanni Battista Foggini, Tavolo da muro (di una coppia). Legno di noce intagliato.
Collezione privata
Sono ben noti due tavoli con piani ovali in alabastro retti da “piedi a foggia di arpie” con ali spiegate e doppie code di sirena. Simili ma non uguali, e probabilmente eseguiti in tempi diversi, sono oggi conservati entrambi a Palazzo Pitti. Alvar Gonzàlez-Palacios che li rese noti mettendoli in relazione ad un disegno di Diacinto Maria Marmi presso il Gabinetto dei disegni degli Uffizi, ne ha proposto una datazione alla seconda metà del XVII secolo. L’invenzione di questi tavoli, va però detto, non è propriamente del Marmi. Egli rielaborò un’idea più antica che doveva avere bene in mente in quanto Guardarobiere di corte: il tavolo eseguito verso il 1570 su disegni di Giorgio Vasari – il quale a sua volta dovette ispirarsi ad un modello nordico visibile in un’incisione di Hieronymus Cock oggi presso il Gabinetto dei disegni degli Uffizi – al tempo del Marmi nell’Appartamento dei Cardinali al piano terra di Palazzo Pitti. Nei tavoli a Pitti le arpie vasariane si fanno sirene, all’uso barocco, ma le mensole e le cartelle ornamentali che completano i mobili ancora mostrano una forza architettonica di gusto buontalentiano. Il disegno del Marmi non definisce nel dettaglio l’ornamentazione, e nemmeno si sofferma sulle le figure alate, lasciate alle sgorbie dell’intagliatore. Il risultato sono due mobili dalla forte impronta manierista, non propriamente opera di scultori ma di bravi artigiani. L’anatomia dei corpi è approssimativa, i volti inespressivi, ali e code sono risolte alla stregua di elementi ornamentali e, nell’insieme, volumi e modellato sono efficaci ma non si fanno scultura. Uno di questi tavoli è raffigurato nel dipinto dello pseudo Marcuola accanto al letto di Gian Gastone de’Medici del 1735, oggi a Pitti.
Prossimo a questi due mobili è un tavolo parietale, che fu reso noto sempre da Gonzàlez-Palacios, probabilmente su disegno di Giovanni Battista Foggini. Una singola sirena alata poggia su di uno scoglio di derivazione berniniana e regge un piano. Anche in questo caso si tratta dell’opera di un intagliatore, non di uno scultore, che lavora a Firenze già a cavallo tra XVII e XVIII secolo.
Un deciso cambio di registro si ritrova invece nei due tavoli di cui si scrive, nei quali certamente il tema delle sirene dalle doppie code intrecciate e le ali spiegate deriva da quei mobili medicei. Ma qui le due figure fantastiche sono scultura, ne hanno tutta l’autorevolezza. Ciò che le rende tavoli è affatto secondario, addirittura marginale: un basamento – a foggia di base di scultura – e una sottile fascia – sulla quale poggiare il piano in marmo – che nulla concedono all’ornamentazione.
Stanno nello spazio non più acquattate ma protese in avanti quasi a spiccare il volo, eleganti nelle linee slanciate, e nei volumi asciutti, trattenute dal soprastante piano in marmo bigio in un equilibrio perfetto. Emanano una forza concentrata che è tensione di muscoli persino nell’attacco alle forti spalle umane delle ali dispiegate, vigorose, modellate senza incertezza: il piumaggio è scolpito in profondità, è tagliente. L’anatomia dei corpi è sicura, fa sentire la muscolatura in tensione; le forti cosce sotto sforzo innervano di vita anche le code le cui parti terminali pinnate si ritorcono in basso con forza per aprirsi lateralmente e controbilanciare, dal punto di vista compositivo, l’apertura alare. Una leggera peluria sulle cosce si fa squame sulle code. La schiena, non visibile dallo spettatore posto dinnanzi ai tavoli, è ben scolpita, conferisce nerbo alle due statue che, da quell’eccentrico punto di vista, si protendono nell’atto di spiccare il volo. In questo afflato il collo è proteso verso l’osservatore, nello sforzo di sospingere la testa con la fronte centrata dal diadema fuori dal profilo dei piani. I volti hanno lineamenti ben definiti; di una bellezza idealizzata e caratterizzati da espressioni addolcite da una sorta di malinconica rassegnazione. La capigliatura è scolpita profonda attorno ad un grande diadema centrale, la lunga chioma ricade dalla nuca sulle spalle.
Chi fu lo scultore che cavò queste figure fantastiche dal blocco di legno, non si sa dire. Ma certo fu uno scultore, non un intagliatore di mobili, come dimostra viepiù il fatto che le due statue siano scolpite, contro ogni usanza da intagliatore di mobili, anche nella parte posteriore – invisibile perché rivolta al muro e celata dai piani. Gli studi sulla scultura barocca tardo medicea sono negli ultimi decenni assai progrediti dopo la storica mostra Gli ultimi Medici del 1974. Ma nessuno si è ancora soffermato con attenzione sulla scultura lignea, i cui protagonisti, oggi dimenticati, riemergono nelle carte della guardaroba medicea. Il più famoso di questi fu senza dubbio Vittorio Crosten; assai attivo fu Giovanni Magni che in un documento dichiara di aver eseguito “un ornamento con cartellame e fogliame su disegno del Foggini”. Dobbiamo ricordare anche altri nomi: Francesco Poccetti, Anton Francesco Gonnelli, Michele e Niccolò Prester che, ad esempio, nel 1684 consegna alla guardaroba medicea “tre femmine marine con ali e teste di angeli”. Spesso questi artefici scolpirono, come i documenti raccontano, su commissione e disegno del direttore della Galleria dei lavori “Primo scultore e architetto primario” Giovanni Battista Foggini.
Tre disegni di Giovanni Battista Foggini, oggi presso il Gabinetto dei disegni degli Uffizi e due presso il Metropolitan Museum di New-York, suggeriscono in modo circostanziato e per nulla casuale la vicinanza tra il celebrato scultore degli ultimi Medici e i tavoli di cui si scrive. Non risulta Foggini scolpisse personalmente in legno, ma per certo era uso, come si è visto e come era consuetudine a quel tempo, affidare le proprie idee a scultori in legno. Si veda, a questo proposito, la lunga collaborazione tra Gian Lorenzo Bernini e il suo scultore in legno di fiducia Antonio Chicari ricostruita da Maurizio Fagiolo dell’Arco. I disegni degli Uffizi sono idee per fontane caratterizzate da temi marini.
Il primo foglio (Inv. n.576 S) mostra una coppa sorretta da una sirena. Già attribuito a Benvenuto Cellini, fu Ulrich Middeldorf a suggerirne l’odierna attribuzione. La postura della sirena è sovrapponibile con grande precisione a quelle dei tavoli. Non solo: il ventre con le sue pieghe, i seni sodi, il collo proteso in avanti, la capigliatura caratterizzata da un diadema centrale con la chioma ricadente su di una spalla del disegno si ritrovano con evidenza nelle sirene lignee dei tavoli. Il secondo (Inv. n. 8027 A., c. 61) rappresenta la Fontana di Galatea. Le due sirene alate sono le stesse del foglio precedente. Ma vi sono definite con maggior chiarezza sia le ali sia il loro attacco alle spalle della donna come pure le doppie code terminanti in pinne a tre punte. Anche in questo caso la vicinanza alle sirene lignee dei nostri tavoli è evidente. Il terzo e ultimo (Inv. 8027 A., c. 65) ripropone una fontana, questa volta con Tritone e satiri. Le due sirene, questa volta nel disegno senza ali ma con braccia spiegate alla stregua delle ali, sono esattamente nella posizione delle nostre, con le doppie code ritorte all’esterno e terminanti in vistose pinne.
Dei due disegni presso il Metropolitan Museum il più interessante è senza dubbio il disegno alternativo per tavolo. Qui la figura femminile alata è un’arpia distesa sopra una voluta barocca. Ma la parte del capo con diadema, delle ali spiegate e del petto mostra ancora i caratteri comuni ai precedenti disegni e alle sirene nostre. Lega il disegno ai nostri tavoli anche il fare delle volute, di un barocco ancora sensibile a reminiscenze del tardo manierismo, che ritroviamo nella mensola architettonica che unisce le code delle sirene nella parte posteriore dei nostri tavoli raccordandole al basamento.
Il secondo disegno del Metropolitan presenta due progetti di sgabelloni caratterizzati da figure femminili alate una delle quali presenta un diadema assai prossimo a quello delle nostre sirene, le consuete ali questa volta non dispiegate ricadono lungo il corpo. A questo disegno sono prossime due mensole reggi piani, ampiamente manomesse nel corso del XIX secolo, ma già presso la Villa del Poggio Imperiale e oggi presso il Museo Nazionale del Bargello. Tutti i disegni in questione sono databili attorno al primo quarto del XVIII secolo. Una simile datazione appare del tutto congrua anche per i due tavoli dei quali sappiamo che furono inseriti, verso la seconda decade del XIX secolo, in Palazzo Alessandri, dimora di Giovanni degli Alessandri (1765-1830), presidente dell’accademia di Belle Arti di Firenze, direttore degli Uffizi tra Impero e Restaurazione, figura di primo piano della cultura fiorentina di quegli anni e amico di Antonio Canova che, nel palazzo fiorentino, fu ospite in più occasioni. E’ probabile che a quel tempo i due tavoli persero la doratura settecentesca ormai sciupata, anche se va detto che nulla impedisce che essi nascessero, come il tavolo vasariano oggi a Pitti, con una patina scura e lumeggiature in oro. Le figure sostengono due piani in marmo Bardiglio, di fattura settecentesca.
Bibliografia: L.Monaci, Disegni di Giovan Battista Foggini, Firenze, 1977, p. 59
A.Gonzàlez-Palacios in: Il tempio del Gusto, il Granducato di Toscana e gli Stati settentrionali, Milano, 1984, Vol. II p. 27
E. Colle, a cura di: I mobili di palazzo Pitti, il periodo dei Medici 1537-1737, Firenze, 1996, p. 113 e sgg.
A. Gonzàlez-Palacios, Trionfi barocchi a Firenze. In: I mobili di palazzo Pitti, Firenze, 1996, p. 28
M. Fagiolo dell’Arco, Berniniana, Milano, 2002, p. 147 e sgg.