Giuseppe Maggiolini, Commode, 1775 ca
Fusto in legno di noce, abete e pioppo intarsiato in bosso, pero, acero e altri legni non correttamente identificabili. Applicazioni in ottone dorato e rame sbalzato e dorato, cm 92x150x77
Stupinigi, Palazzina di Caccia
Bibliografia:
E. Colle, Le arti decorative, in F. Mazzocca, A. Morandotti, E. Colle, a cura di, Milano neoclassica, Milano 2001, p. 579
E. Colle, Il mobile neoclassico in Italia, Milano 2005, pp. 316-319
G. Beretti, Il mobile dei Lumi, Milano nell’età di Giuseppe Maggiolini (1758-1778), Vol. I, Milano 2010, pp. 173-177
Assieme al più famoso secrétaire, originariamente eseguito per la Villa Arciducale di Monza e più volte pubblicato dalla critica[1], presso la Palazzina di caccia di Stipinigi si conserva un secondo mobile eseguito da Giuseppe Maggiolini: una commode oggi purtroppo mutila di parte dei bronzi che la completavano. Enrico Colle lo pubblicò una prima volta collocandolo alla “fine del XVIII secolo”[2] , e una seconda con la medesima datazione, rilevando come “anche questo mobile è testimonianza della diffusione delle opere di Maggiolini nelle corti italiane”[3]. Ma quale corte, è lecito domandarsi. Quella torinese di Vittorio Amedeo III deve aver pensato Colle, trovandosi il mobile a Stupinigi. Ma i mobili sono, appunto, mobili, e dunque non è raro che nel corso della loro storia subiscano spostamenti e, quando sono oggetti principeschi, spostamenti da corte in corte. Lo stesso secrétaire oggi a Stupinigi, non fu commissionato dalla corte torinese, bensì da quella milanese, in occasione del ventennale delle nozze arciducali. Consegnato da Maggiolini a Monza, fu successivamente inviato a Parma, come ha ricostruito a suo tempo Alvar González-Palacios[4], per poi giungere, nel corso dell’Ottocento, a Stupinigi.
Sullo schienale della commode di cui si scrive è ben visibile un cartiglio di inventario napoleonico, applicato quando era nel “Palazzo Reale di Modena”, e precisamente nell’”Appartamento di rappresentanza di S.M. l’Imperatore e Re”[5]. Su questo aspetto torneremo, non prima di avere attentamente osservato il mobile, databile verso la metà degli anni Settanta, in stretta vicinanza cronologica con il tavolino delle Civiche Raccolte d’Arte milanesi (Inv. Mobili 390).
La commode trova puntuale riscontro in un grande cartone preparatorio ancora conservato nel Fondo Maggiolini (Inv. F 2). Si tratta di un disegno che consente di avere una visione completa dell’opera come fu licenziata dallo stabilimento di Parabiago. Oggi, come si è detto, esso ha purtroppo perduto parte delle montature in bronzo dorato, dettagli ornamentali di non secondaria importanza come le guaine che fasciavano i piedi, i piccoli festoni in bronzo che completavano superiormente le lesene, i piccoli rosoni nei dadi inferiori di esse. Osservandolo attentamente si rileva un’altra mutilazione, ossia la perdita dell’intarsio originariamente inserito nella riserva circolare, incorniciata da una bella montatura in bronzo dorato, al centro dell’anta. Questa attualmente mostra una semplice impiallacciatura in legno di mogano che rimpiazza un originario intarsio che, in un certo momento della storia del mobile, dovette risultare inopportuno.
Impossibile non notare come nel disegno il mobile presenti montature in bronzo ai piedi molto simili a quelle della commode delle Civiche Raccolte milanesi (Inv. Mobili 344). Altri elementi avvicinano i due arredi, per quanto l’impianto architettonico delle lesene angolari, caratteristica saliente in entrambi i mobili, raggiunga in quello di Stupinigi, una complessità progettuale certamente superiore. Manca nel mobile di Stupinigi il forte impianto plastico che caratterizza il mobile di Milano. I due condividono l’impiego del rivestimento in bois de violette, a fare da sfondo ai fregi in legno di bosso. I pannelli istoriati del mobile milanese su cartoni di Andrea Appiani (1754-1817) lasciano posto a un fine arabesco monocromo in legno di bosso su fondo oscuro. La robusta ombreggiatura e la profilatura del solco profondo – conservate intonse nel mobile a Stupinigi – sono elementi che, ancora una volta, accomunano i due mobili. La commode a Stupinigi, rispetto a quella milanese, presenta dimensioni maggiori.
Nel Fondo Maggiolini, si è detto, è conservato il grande disegno preparatorio, in scala 1:1, probabilmente messo a punto da Giuseppe Levati (1739-1828). Il mobile vi è finemente delineato a penna, ben acquerellato in grigio. Uno schizzo nella parte inferiore, probabilmente di pugno di Maggiolini, rappresenta la sezione in cui è visibile il frontale del cassetto con il pomolo, il suo ingombro e l’anta con il pilastro angolare. Il complesso ornamentale dell’anta che Maggiolini è chiamato a tradurre in legno, fu definito in ogni dettaglio: l’intarsiatore non dovette inventare, o anche solo sviluppare, temi appena accennati. Manca, nel Fondo dei disegni, il cartone dei fianchi; siccome struttura ed ornamentazione si ripetono uguali alla facciata, Maggiolini probabilmente li ricavò autonomamente dal cartone di quella, senza bisogno di un disegno specifico. E’ invece conservato il disegno preparatorio, in scala 1:1, dell’ornato da intarsiare nella riserva centrale dei fianchi (Inv. B 529). Anche in questo caso Maggiolini tradusse con assoluta fedeltà il disegno, fornito da Giuseppe Levati, in cui due doppi girali sono affrontati simmetricamente rispetto ad un rosone centrale. Al verso del disegno è un appunto evidentemente diretto a Maggiolini, che lascia bene intendere la consuetudine tra i due:
“Li altri disegni del Tavolo della Libreria la settimana ventura spero che li farò, per rispetto al altro affare non ho potuto penetrar nulla, ma credo che non sia deciso ancora, ma subito che saprò qualche cosa lo notificherò. Avendo grazie della continua memoria che ha per me lo Saluto”.
L’appunto si riferisce sia ad altri disegni per un non meglio identificato tavolo da biblioteca, sia all’attesa di una risposta relativa ad un “affare” che, probabilmente, Levati seguiva a Milano per conto di Maggiolini. Testimonianza dunque della vicinanza tra il Maggiolini e il disegnatore milanese che in città svolgeva, per l’intarsiatore di Parabiago, anche faccende di carattere commerciale.
Si ricorderà come si sia lasciata in sospeso la questione del cartiglio sullo schienale recante l’iscrizione “Palazzo Reale di Modena”. Viene a tal proposito in aiuto don Mezzanzanica, con la sua Breve storia delle principali opere dei celebri intarsiatori Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, in cui troviamo traccia di una commessa eseguita per Modena:
“Ed anche a Modena deve esser stato spedito qualche cosa di consimile [un mobile, N.d.a.], avendo trovato un disegno con questa parola – Modena – scritto da Levati, sotto le sigle F.D.M. graziosamente intrecciate e sormontate dalla corona ducale”[6].
Il disegno non è più conservato nel Fondo dei disegni dell’officina. Le “sigle F.D.M. graziosamente intrecciate” sono un piccolo rebus. Ancora oggi si conserva, tra le tante sigle intrecciate impiegate dall’officina, quella intarsiata su un tavolo eseguito da Maggiolini, su commessa di Ferdinando, per la sorella Maria Carolina con le cifre C.R.N. Un’iscrizione a penna, forse di Giuseppe Levati forse di Maggiolini, la scioglie in “Caroletta Reg.[in]a Napoli”, “illombardendo Charlotte [nome con cui in famiglia veniva chiamata Maria Carolina, N.d.r.] nell’impagabile Caroletta” come ha scritto Alvar González-Palacios[7].
La cifra F.D.M. secondo questa logica, e avendo come indizio il luogo, può essere facilmente sciolta in: Francesco Duca di Modena.
Ma qual’è il legame tra questo disegno e la commode oggi a Stupinigi, nel corso dell’Ottocento a Modena? Apparentemente vi è soltanto la comunanza del luogo: Modena. Non vi è poi nessun legame tra il foglio perduto con la sigla e il mobile, che non presenta intarsiato nessun monogramma. Il monogramma non compare nemmeno nel dettagliatissimo cartone preparatorio che, come era usanza, lascia il campo vuoto, delegando la definizione del contenuto ad uno specimen. E’ proprio questa mancanza che costituisce l’articolazione tra il mobile e il disegno, poiché al centro della facciata, lo si è già detto, è una riserva vuota, chiara traccia di una cancellatura. Ma cosa si poté mai cancellare? Non certo un motivo ornamentale, piuttosto le iniziali del proprietario, unico dettaglio che in un certo momento della storia del mobile deve essere risultato inopportuno.
Lasciandoci dunque alle spalle la retta via dell’analisi dei fatti, scivoliamo lungo la china delle ipotesi. Il foglio perduto con “le sigle F.D.M. graziosamente intrecciate” di cui parla il Mezzanzanica, era lo specimen con la cifra da inserire nella riserva circolare, incorniciata da una montatura in bronzo, al centro dell’anta. Siccome il mobile fu commissionato al Maggiolini da Ferdinando e Maria Beatrice d’Este per farne dono al duca di Modena, Francesco III d’Este, zio dell’arciduchessa Maria Beatrice – governatore del ducato di Milano fino al 1745, abile negoziatore con la cancelleria viennese del matrimonio tra la nipote e il terzogenito di Maria Teresa -, le sue cifre spiccavano nel centro della facciata.
Così come Maria Teresa fu ringraziata nel 1773, con il dono della scrivania oggi al Möbelmuseum di Vienna per il suo contributo alle nozze, il duca di Modena, ambizioso, colto, amante dello splendore dell’abitare fu ricompensato con questo superbo mobile di nuovo disegno, opera di quel Giuseppe Maggiolini ebanista e intarsiatore di fiducia dell’arciduca Ferdinando.
[1] G. Beretti, Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, pp. 106 e sgg. [2] E. Colle, Le arti decorative, in F. Mazzocca, A. Morandotti, E. Colle, a cura di, Milano neoclassica, Milano 2001, p. 579 [3] E. Colle, Il mobile neoclassico in Italia, Milano 2005, pp. 316 e sgg. [4] A. González-Palacios, Il Tempio del gusto. Le arti decorative in Italia fra classicismi e barocco. Il Granducato di Toscana e gli Stati settentrionali, Milano 1986, I, p. 272 [5] Accompagnano il cartiglio il punzone incusso a fuoco M.R. (Mobilier Royale), e l’iscrizione in vernice azzurra, d’epoca sabauda, 4719 D.C. (Dotazione Corona) [6] G. A. Mezzanzanica, Genio e lavoro, biografia e breve storia delle principali opere dei celebri intarsiatori Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, Milano 1878, p. 54 [7] A. González-Palacios, Il gusto dei principi: arte di corte dal XVII e del XVIII secolo, Milano 1993, 2 Voll., I, p. 354