Giuseppe Maggiolini, Scrivania, 1773
Fusto in legno di noce, abete e pioppo intarsiato in bois de violette, bois de rose, acero, bosso, pero, avorio, ebano, e altri legni non correttamente identificabili. Applicazioni in ottone cesellato e dorato, cm 85x134x75
Vienna, Möbelmuseum
Bibliografia:
A. González-Palacios, Giuseppe Maggiolini: un capolavoro certo, uno incerto e vari appunti sui seguaci, in «Antologia di Belle Arti», 15-16.1980, 6, pp. 173-186. Ripubblicato in Il Tempio del gusto. Le Arti Decorative in Italia fra Classicismi e Barocco. Il Granducato di Toscana e gli Stati Settentrionali, 2 voll., Milano 1986, I, pp. 267-276
C. Witt-Döring, Maria Theresia und ihre Zeit, Vienna 1980, scheda 123.01
C. Witt-Döring, Ein Schreibtisch von Giuseppe Maggiolini, in «Alte und moderne Kunst», 25.1980, 171, pp. 38-39
G. Beretti, Giuseppe Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, pp. 42-49
G. Beretti, Il mobile dei Lumi. Milano nell’età di Giuseppe Maggiolini (1758-1778), Vol. I, Milano 2010, pp. 108-110
Fu Alvar González-Palacios, nel 1976, a riscoprire presso il Bundesmobiliensammlung (come all’epoca si chiamava il Möbelmuseum) questa “pietra miliare della mobilia settecentesca italiana”, fino ad allora considerata opera di un ebanista olandese.[1] Nel 1980 il mobile fu esposto per la prima volta come opera di Giuseppe Maggiolini in occasione della mostra Maria Theresia un ihre Zeit, con una scheda in catalogo di Christian Witt Döring, all’epoca conservatore del museo.[2] Fu lo stesso autore a ritrovare, presso l’archivio di Stato di Vienna, un prezioso documento: la lettera dell’imperatrice Maria Teresa alla nuora Maria Beatrice d’Este, datata 3 giugno 1773, in cui si parla di quest’opera:
[…] le choix de la couleur je l’attribue à notre cher Ferdinand qui m’a fait un très jolie présent de Fayence et un bureau, mais que je ne verrais qu’après demain étant placé en ville dans mon nouvel appartement.[3]
Mobile dunque commissionato dall’arciduca Ferdinando come dono per la madre Maria Teresa: un ringraziamento per quanto la sovrana aveva fatto in occasione delle sue nozze con Maria Beatrice d’Este nel 1771 e ancora andava facendo per l’insediamento della corte milanese. La storia fu ben riepilogata lo stesso anno da Alvar González-Palacios, nell’articolo Giuseppe Maggiolini: un capolavoro certo, uno incerto e vari appunti sui seguaci.[4]
Con quest’opera, che per qualità esecutiva e gusto decorativo si pone pienamente ai vertici dell’arredo europeo di quegli anni, Ferdinando volle anche dare una dimostrazione all’imperatrice delle possibilità artistiche – ed economiche – dell’artigianato d’arte nella Lombardia asburgica. Per questa ragione al bravo suddito fu concesso di firmare il mobile che, in un cassetto, reca intarsiata la sigla G.M.P. (Giuseppe Maggiolini Parabiago).
Come nella commode sinizzante delle Civiche Raccolte artistiche del Comune di Milano, Maggiolini si dimostra in quest’opera un ebanista provetto, in grado di dialogare con i migliori artisti che si muovevano in quegli anni nell’ambito delle arti decorative. Certamente vi ebbero parte Agostino Gerli, al quale, come nelle altre opere di questo periodo, spetta l’invenzione dell’insieme e dei bronzi, e Giuseppe Levati, che disegnò le quattro cineserie intarsiate nelle riserve ovali sul fronte, sul coperchio e sui fianchi, ancora conservate nel Fondo dei disegni di Bottega (Inv. C 42, B 131, B 131 bis, B 132).[5] Si tratta di quattro scenette di vita cinese velocemente disegnate e altrettanto velocemente acquerellate, frutto di una bizzarria peculiare allo spirito stesso della cineseria che il disegnatore dimostra di avere ben assimilato. I dettagli vi sono appena abbozzati, chiaroscuro e ombre sono resi da veloci e sicure pennellate. Nel complesso questi fogli testimoniano di una confidenza tra il disegnatore e intarsiatore assente nei minuziosi, spigolosi disegni riconducibili al giovane Andrea Appiani impiegati da Maggiolini nella commode delle Civiche Raccolte artistiche del Comune di Milano.
Il fusto della scrivania, di forme Louis XV, è completamente rivestito da una impiallacciatura di bois de violette sulla quale Maggiolini stende un ondulato traliccio punteggiato da piccoli fiori, proprio “come in un mobile di Joubert”[6] ha scritto Alvar González-Palacios. Come negli altri mobili di questo periodo ritroviamo un fregio che incornicia facciata, fianchi e coperchio. Sul lato con i cassetti, in corrispondenza del vano centrale, dallo spessore del piano fuoriescono un tiretto, decorato da una allegoria delle Arti già di spiccato gusto Louis XVI, e un leggio, sul quale Maggiolini intarsiò un’allegoria del Buon governo asburgico sul ducato di Milano. Peccato che di nessuna di queste due tarsie, si conservino i modelli nel Fondo dei disegni di Bottega.
[1] A. González-Palacios, Giuseppe Maggiolini: un capolavoro certo, uno incerto e vari appunti sui seguaci, in «Antologia di Belle Arti», 15-16.1980, 6, pp. 173-186. Ripubblicato in Il Tempio del gusto. Le Arti Decorative in Italia fra Classicismi e Barocco. Il Granducato di Toscana e gli Stati Settentrionali, 2 voll., Milano 1986, I, pp. 267-276 [2] C. Witt-Döring, Maria Theresia und ihre Zeit, Vienna 1980, scheda 123.01 [3] C. Witt-Döring, Ein Schreibtisch von Giuseppe Maggiolini, in «Alte und moderne Kunst», 25.1980, 171, pp. 38-39 [4] A. González-Palacios, Op. Cit., 1980, pp. 173-186 [5] G. Beretti, A. González-Palacios, Giuseppe Maggiolini, Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, pp. 119, 252 [6] A. González-Palacios, Op. Cit., 1980, pp. 173-186