Giuseppe Maggiolini, Piccolo tavolo, 1790 ca.
Fusto in legno di noce e abete intarsiato in palissandro, bois de rose, bosso, mogano, frassino, acero, acero tinto verde, pero e altri legni non correttamente identificabili, cm 72x60x41
Collezione privata
Restauro Giuseppe Beretti, 1990
Bibliografia:
Mostra commemorativa di Giuseppe Maggiolini, catalogo della mostra (Milano, Museo di Milano, novembre / dicembre 1938), Milano 1938, p. 27, Tav. XXVI
G. Morazzoni, Il mobile intarsiato di Giuseppe Maggiolini, Milano, 1953, Tav. XLI
G. Beretti, Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, pp. 98-101
G. Beretti, Laboratorio, contributi alla storia del mobile lombardo, Milano 2005, pp. 56-63
Un piccolo tavolo in collezione privata – ben noto agli studi già dal 1938 quando fu esposto alla Mostra commemorativa di Giuseppe Maggiolini[1], riproposto dal Morazzoni nel 1953[2] – presenta un meditato utilizzo di un modello di Giocondo Albertolli (1743-1839). Piccolo, prezioso mobile eseguito per un esponente della famiglia Borromeo (probabilmente quel Giovanni Giberto, che nel 1790 sposò Maria Elisabetta Cusani, e che commissionò a Maggiolini anche il “piciol cofanetto” oggi in collezione privata), oltre ad essere perfettamente ispirato al gusto albertolliano, presenta anche una citazione così diretta di un modello dello stesso da suonare alla stregua di un omaggio al “riputatissimo” professore.
Un piccolo disegno, sul quale l’iscrizione “Fascia tavolino Borromeo”, ne ricorda la destinazione (Inv. A 370)[3], fissa il modulo di un fregio fogliaceo illustrato alla Tavola X della raccolta di incisioni Ornamenti Diversi pubblicata da Albertolli nel 1782. Dalla medesima tavola Maggiolini trasse altri due fogli (Inv. A 347, Inv. A 343)[4] che costituiscono la messa a punto necessaria al lavoro di traduzione in legno del modello.
Il resto dell’ornamentazione del piccolo tavolo presenta la ricchezza tipica di questi preziosi mobili nei quali un virtuosistico intarsio riveste tutte le superfici.
Nei pilastri angolari che serrano le fasce trovano posto piccole panoplie, le gambe sono intarsiate sia nel rocchetto superiore sia nelle lunghe scanalature del corpo centrale. Il margine inferiore delle fasce è costituito da un listello su cui è intarsiato un lungo nastro di foglie d’acanto. Piccole mensole raccordano i pilastri a questo listello. Uno dei lati corti del tavolo è costituito dal frontale di un profondo cassetto.
Una composita cornice, caratterizzata da una bordura di piccole foglie, raccorda le fasce al piano il cui margine, modanato, presenta intarsiato un nastro che corre finemente attorcigliato a un filo; motivo di chiara derivazione albertolliana che ritroviamo, in numerosi specimen ornamentali dei suoi due volumi.
L’organizzazione compositiva del piano è caratterizzata da una cartella centrale a forma di mandorla tronca disposta orizzontalmente, incorniciata da riserve che ne seguono la curvatura.
La riserva centrale e le due laterali più grandi presentano una ricca incorniciatura compositiva mentre le due più piccole sono contornate da una doppia filettatura ombreggiata.
Fa da sfondo a questa organizzazione la stesura di un legno rosso e luminoso. La riserva centrale presenta, su di una luminosa campitura d’acero, un’aquila che regge tra gli artigli una tromba e una cornucopia ricolma di fiori. Di questo intarsio nel Fondo dei disegni di bottega si conserva il disegno preparatorio (Inv. B 361)[5]; si tratta di un disegno a penna acquerellato, stilisticamente attribuibile a Giuseppe Levati (1739-1828). Nelle due riserve laterali trovano spazio girali d’acanto in legno d’acero e bosso, finemente ombreggiati e contrappuntati da circonvoluti germogli filiformi in legno d’acero tinto verde. Nelle piccole cartelle orizzontali, sullo stesso legno di fondo, una protome leonina tiene serrati in bocca ramoscelli di ulivo e di quercia.
Difficile stabilire una datazione certa per quest’opera. La data della pubblicazione da parte di Giocondo Albertolli del volume da cui fu tratto il fregio intarsiato sulle fasce (1782), costituisce ovviamente il termine post quem per fissarne l’esecuzione.
Va però detto che una datazione ai primi anni ottanta, non pare confortata dalla qualità del mobile, più prossima alla matura produzione degli anni Novanta.
La vicinanza al modello albertolliano potrebbe suggerire una collocazione agli anni della collaborazione diretta tra l’officina e Albertolli che portò all’esecuzione, nel corso del 1789, delle celeberrime commodes Sola-Busca. Come ancora oggi avviene, gran parte degli arredi di una casa venivano eseguiti in occasioni matrimoniali: su commissione diretta dello sposo che provvedeva all’arredamento della nuova casa o su commissione di parenti come donativi. Nel caso specifico vale la pena ricordare che il matrimonio tra Giovanni Giberto Borromeo e Maria Elisabetta Cusani fu celebrato nel 1790.
[1] Mostra commemorativa di Giuseppe Maggiolini, catalogo della mostra (Milano, Museo di Milano, novembre / dicembre 1938), Milano 1938, p. 27, Tav. XXVI [2] G. Morazzoni, Il mobile intarsiato di Giuseppe Maggiolini, Milano, 1953, Tav. XLI [3] G. Beretti, A. Gonzáles-Palacios, Giuseppe Maggiolini. Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, p. 78 [4] Ibidem, p. 75 [5] Ibidem, pp. 164-165