Giuseppe Maggiolini, Commode, 1773 ca
Fusto in legno di noce e abete intarsiato in palissandro, bois de violette, mogano, bosso, acero, acero tinto verde e altri legni. Maniglie, bocchette, angolari e scarpette in bronzo cesellato e dorato, cm 96x105x57
Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. Mobili n. 346
Restauro Giuseppe Beretti, 2007
Bibliografia:
G. Marangoni, Gli intarsi del Maggiolini, in «Città di Milano», marzo 1918, p. 53
N. Barbantini, G. Lorenzetti, G. Morazzoni, T. Tarchiani, a cura di, Il Settecento italiano, Milano-Roma 1932, Tav. LXXXXIII, figg. 186-189
W. Terni de Gregory, Vecchi mobili italiani, Milano 1953, p. 172
G. Morazzoni, Il mobile intarsiato di Giuseppe Maggiolini, Milano 1953, Tav. I, p. 23
W. Terni de Gregory, Vecchi mobili italiani tipi in uso dal secolo XV al XX, Milano 1957, p. 159
G. Rosa, Mobili lombardi del Settecento, in «Antichità Viva», 5.1962, p. 45
G. Rosa, I mobili delle Civiche Raccolte Artistiche di Milano, Milano 1963, n. 246
C. Alberici, Il mobile lombardo, Milano 1969, p. 173
E. Baccheschi, Cineserie rococò nell’ambiente maggioliniano: Andrea Appiani e Watteau, in «Arte Lombarda», 1969, pp. 147-150
C. Witt-Dörring, Ein Schreibtisch von Giuseppe Maggiolini, in Alte und moderne Kunst, Vienna 1980, pp. 38-39
A. González-Palacios, Il tempio del gusto. Il Granducato di Toscana e gli Stati settentrionali, 2 Voll., Milano 1986, I, pp. 270-271
G. Beretti, Appunti per uno studio sull’opera della bottega di Maggiolini, in «Rassegna di Studi e Notizie», XV, 1989-90, pp. 89-111
E. Colle, Modelli d’ornato per Giuseppe Maggiolini, in «Prospettiva», 65.1992, pp. 80-81
G. Beretti, Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, pp. 34-41
E. Colle, Museo d’Arti Applicate: mobili e intagli lignei, Milano 1996, pp. 77-82
E. Colle, Il mobile rococò in Italia: arredi e decorazioni d’interni dal 1738 al 1775, Milano 2003, pp. 396-399
G. Beretti, Il mobile dei Lumi, Milano nell’età di Giuseppe Maggiolini (1758-1778), Vol. I, Milano 2010, pp. 104-107
G. Beretti, Il giovane Maggiolini. L’invenzione del mobile neoclassico a Milano, Milano 2023, pp. 65-71
Si tratta della più celebre opera giovanile di Giuseppe Maggiolini, entrata a far parte delle Civiche Raccolte artistiche del Comune di Milano nel 1895 come parte del legato Ponti. In una fotografia della sala degli arredi del Settecento allestita da Luca Beltrami[1] risalente ai primi anni del XX secolo, la si vede esposta assieme alla commode Greppi e ad altri mobili di Maggiolini, sotto le cornici in cui sono esposti alcuni dei disegni del Fondo dei disegni di bottega. Illustrata per la prima volta da Guido Marangoni in un articolo dedicato a Maggiolini del 1918, compare anche nel 1932, nel volume curato da Ugo Ojetti Il Settecento italiano. Mobile eccentrico rispetto all’immagine consolidata che si aveva dell’opera di Giuseppe Maggiolini per forme Rocaille, tarsie e applicazioni in bronzo ispirate ai repertori internazionali della cineseria, fu esclusa dalla grande mostra monografica su Maggiolini allestita nel 1938 in occasione del bicentenario della nascita dell’ebanista.[2] Morazzoni non mancò però di includerla nella monografia dedicata a Giuseppe Maggiolini del 1953, mettendola in relazione a tre dei quattro disegni di cineserie che Maggiolini impiegò per la scrivania, che egli non conosceva, commissionatagli dall’arciduca Ferdinando e donata alla madre, l’imperatrice Maria Teresa, nel giugno del 1773.
Tuttavia l’attribuzione a Maggiolini non doveva essere ancora del tutto accettata nel 1963. Quell’anno Gilda Rosa, nel catalogo dei mobili delle Civiche Raccolte artistiche del Comune di Milano, sembra dubitarne: “Secondo il Morazzoni questo esemplare sarebbe un’opera ancora settecentesca del Maggiolini”.[3] L’attribuzione fu confermata da Edi Baccheschi[4] che, nel 1969, mise finalmente l’opera in relazione con i due disegni rappresentanti scenette di vita cinese racchiuse in cornici di gusto Rocaille, conservati nel Fondo dei disegni di bottega, impiegati come modelli per le tarsie nelle cartelle della facciata e del piano sfuggiti a Morazzoni. Entrambi i disegni (Inv. C 23/1, C 23/2),[5] recano l’iscrizione “Appiani Andrea”. Appiani, nato nel 1754, all’epoca di questa commessa, databile verso il 1773, non aveva nemmeno vent’anni. I disegni paiono incisioni finemente miniate: i volti, gli abiti, le piante, gli stravaganti oggetti che vi compaiono, sono disegnati in modo minuto, il chiaroscuro è reso da un fitto tratteggio. Si tratta di fantasie ispirate, o direttamente tratte, da quelle stampe che al tempo circolavano nelle botteghe e nelle manifatture di mezza Europa. Non vi sono elementi stilistici che permettano di metterle in relazione con i disegni che Appiani consegnerà, nel corso degli anni Ottanta, a Maggiolini per tramite di Giocondo Albertolli. La loro paternità è però difficilmente confutabile in virtù dalla firma, forse un’iscrizione coeva, presente su entrambi i fogli. Sappiamo da una memoria nelle carte che Francesco Reina raccolse per redigere la biografia dell’Appiani, che il giovanissimo pittore, già durante l’adolescenza, ai tempi dell’apprendistato presso Carlo Maria Giudici, “dipinse da principio su la carta, e su la seta, dei fiori, delle figure e degli ornati; e ne trasse un guadagno”.[6] A questo proposito bisogna ricordare che nel Fondo dei disegni di bottega si conservano anche due disegni (Inv. B 506, B 507), eseguiti en suite con le due cineserie in questione, rappresentanti fiori in incorniciature Rocaille.
Anche nelle piccole riserve al centro dei fianchi, Maggiolini intarsiò piccole figure cinesi. Impiegò come modelli due incisioni di una Suite de Figures Chinoises d’apres Vateau in suo possesso, e ancora oggi conservate nel corpus della sua eredità cartacea.[7] Nessun disegno si conserva, nel Fondo dei disegni, relativo alle bellissime montature in bronzo che impreziosiscono questo mobile, verosimilmente ideate e modellate nel laboratorio di Agostino Gerli che, in virtù della sua formazione parigina,[8] ben conosceva il valore dei bronzi nella decorazione degli arredi.
Con tutto ciò apparentemente contrasta l’involuta costruzione del fusto. Chiamato a seguire un disegno d’insieme, Maggiolini sperimenta una prassi costruttiva che gli permetta di raggiungere lo scopo senza troppo sottilizzare. Le bombature dei fianchi sono scolpite con maestria in blocchi di legno assemblati alla bene meglio, per il resto code di rondine, tenoni e mortase sono realizzati in modo sbrigativo, gli incollaggi all’abbisogna rinforzati con cavicchi e chiodi; nemmeno mancano aggiustamenti in corso d’opera, addirittura vistosi ripensamenti. I legni con cui è solito realizzare i fusti (il noce, l’abete e il pioppo), sono impiegati in modo utilitaristico. Solo le superfici esterne sono perfettamente modellate per potervi stendere gli intarsi; Maggiolini, è del tutto evidente in questa come nelle altre opere di questi anni, è interessato solo al risultato finale, a dare forma al progetto, all’idea.
[1] G. Beretti, A. González-Palacios, Giuseppe Maggiolini, Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, pp. xiii-xiv [2] G. Nicodemi, a cura di, Mostra commemorativa di Giuseppe Maggiolini, Catalogo della mostra (Milano, Museo di Milano, novembre-dicembre 1938) [3] G. Rosa, I mobili nelle Civiche raccolte artistiche di Milano, Milano 1963, pp. 96-97 [4] E. Baccheschi, Cineserie rococò nell’ambiente maggioliniano: Andrea Appiani e Watteau, in «Arte Lombarda», 1969, pp. 147-150 [5] G. Beretti, A. González-Palacios, Op.cit., 2014, pp. 244-245 [6] G. L. Mellini, Dalle carte di Francesco Reina per la biografia di Andrea Appiani, in «Labirintos», n.10, p. 127 [7] Raccolta di carte diverse di Giuseppe Maggiolini, Parabiago, 1784, Milano, Raccolta delle stampe Achille Bertarelli, Inv. Voll. FF.32. Il volume è parte integrale del fondo dei disegni di bottega e assieme a questo entrò nelle Civiche Raccolte d’Arte nel 1882 [8] E. Baccheschi, Un decoratore italiano “compagnon sculpteur” di Honoré Guibert: disegni di Agostino Gerli, in «Antologia di belle arti», 35/38.1990, pp. 82-92