Una replica di straordinaria qualità

Giuseppe Maggiolini, Commode (di un’originaria coppia), 1805 ca
Fusto in legno di noce, abete e pioppo intarsiato in mogano, frassino, bois de rose, palissandro, ebano, bosso, ciliegio, acero, acero tinto verde e altri legni non correttamente identificabili. Maniglie del primo cassetto e scarpette in bronzo cesellato e dorato. Piano in marmo verde delle Alpi. Cm. 107x147x70
Già Finarte, Milano 12 aprile 1989 (lotto 361)

Bibliografia:
A. Gonzáles-PalaciosIl tempio del gusto. Il Granducato di Toscana e gli Stati settentrionali, 2 Voll., Milano 1986, I, p 279
G. BerettiGiuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, pp. 202-205

Nell’aprile del 1989 compare sul mercato antiquario un mobile che sembra essere l’ennesima prova dello straordinario livello raggiunto dalla bottega Maggiolini nel corso del primo decennio dell’Ottocento, periodo spesso considerato, sulla scorta della tradizione, come momento di stanchezza e di declino. Nulla appare più lontano dalla decadenza di questo straordinario arredo, annoverabile assieme a un comodino forse in pendant, tra le opere migliori eseguite da Giuseppe Maggiolini attorno alla metà del primo decennio dell’Ottocento.
Con questo mobile l’ebanista si ricollega, in una riscoperta di assoluta modernità, a una delle prime opere della sua carriera: una delle due commodes Greppi per le quali il giovane Andrea Appiani (1754-1817) aveva messo a punto i disegni delle tarsie.
Se di quella lontana coppia di arredi si ritrova la rigorosa impostazione architettonica, i forti contrasti plastici si stemperano nella raffinatezza pittorica della luminosa tarsia. L’aspra tavolozza di quei primi mobili si addolcisce nel consueto pittoricismo di modelli decorativi espressi in graziose figurazioni che hanno completamente perduto la pesantezza dell’arcaico decoro.

Giuseppe Maggiolini tarsia

I disegni per le tarsie dell’anta e dei fianchi sono direttamente tratti dagli originari modelli di Andrea Appiani conservati in bottega dalla fine degli anni Settanta del secolo precedente. Anche qui la mano dell’ormai sensibile artigiano interviene alleggerendo la composizione. Nella scena intarsiata sull’anta, con l’episodio tratto della Favola della ninfa Pasitea (Inv. C 10)[1],  le singole figure, monocrome sul fulvo mogano di fondo, acquistano una leggerezza grafica esaltata dalla bulinatura dell’abile incisore che si confonde con il minuziosissimo traforo. Rispetto al cartone di Appiani molti sono i cambiamenti: non rimane quasi più nulla dell’originaria allegoria di cui molti particolari sono stati rimossi o modificati; è andato perduto il lungo cartiglio col motto; l’originario disegno, qui proposto ribaltato, appare sviluppato in lunghezza; le figure, che allontanate l’una dall’altra rischiavano di disperdersi nello spazio, sono legate da quel vero e proprio pezzo di bravura rappresentato dal lungo festone di fiori. Anche i fianchi, con le allegorie della Liberalità (Inv. C 14) e della Prudenza (Inv. C 15)[2], ripropongono due dei disegni eseguiti da Appiani per quelle commodes di tanti anni prima; e ancora abile risulta la mano dell’artigiano nel ricondurre l’originario modello in un meno denso contesto compositivo.

Giuseppe Maggiolini disegno preparatorio per commode
Disegnatore della bottega di Giuseppe Maggiolini, Particolare del fronte di un comò, 1800 ca. Grafite, penna e acquerello bistro su carta greggia, mm. 956×250. Milano, Gabinetto dei disegni delle Raccolte artistiche del Comune di Milano, Raccolta Maggiolini, Inv. C 165

Per la composizione del fronte Giuseppe Maggiolini si avvale di due cartoni esecutivi in scala reale, leggermente variati nel programma decorativo (Inv. C 165, C 174)[3].
Il blocco compositivamente fondamentale del pilastro d’angolo è minuziosamente progettato in ogni dettaglio fino al bronzo della scarpetta del piede. A un confronto fra il primo cartone e il mobile, il progetto appare fedelmente tradotto in tarsia in ogni dettaglio: dalla testa coronata che conclude superiormente il semipilastro, la panoplia floreale in essa inserita, la piccola farfalla alla base, l’intarsio del piede e alla scarpetta in bronzo.
Differenti appaiono invece gli intarsi della facciata del primo cassetto e dalla catena inferiore mentre ancora perfettamente corrispondente è il motivo che incornicia l’anta, per cui furono utilizzati proprio gli stessi legni – “Viol.[et]to” e “Ros.[a]to vivo” – indicati nelle note del disegno. Nel cartone esecutivo non è indicato il piano in marmo, mentre lo è nel secondo cartone forse precedente. Il motivo proposto in quest’ultimo per l’intarsio della catena inferiore è lo stesso che si ritrova in alcuni tavoli da gioco e in non pochi disegni del fondo di bottega a essi relativi.
Tratte da un gruppo di disegni sui quali sono appuntati i nomi di Andrea Appiani e Carlo Cantaluppi (Inv. E 1-11)[4], sono le teste di personaggi dell’antichità intarsiate in bosso su fondo d’ebano sui pilastri d’angolo all’altezza del frontale del primo cassetto.

La provenienza di questo mobile da una importante collezione ligure, come del resto il comodino eseguito in pendant, fanno ipotizzare a un’originaria commessa per una famiglia genovese, fatto che fa tornare alla mente il fortunato rapporto di Maggiolini con Genova al tempo dei primi successi della sua carriera.


[1] G. Beretti, A. Gonzáles-PalaciosGiuseppe Maggiolini. Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, pp. 240-241 [2] Ibidem, p. 242 [3] Ibidem, pp. 282-285 [4] Ibidem, pp. 328-330

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